Il Palazzo fu costruito sull’antica Via Mercatorum, la strada che durante il Medioevo collegava Bergamo alla Valtellina salendo dalla bassa Valle Seriana, ed era percorsa da mercanti, artisti e persone comuni che si spostavano da un luogo all’altro in cerca di lavoro, fortuna o di un cambiamento.
Dalla posizione strategica in cui si trova e dalla sua struttura esterna, l’edificio doveva essere fortificato. Questa probabile funzione difensiva si può dedurre dalla struttura delle pareti esterne e da uno studio planimetrico. All’interno del salone, inoltre, è ancora visibile una fessura verticale sulla parete destra che testimonia l’esistenza di una torre di avvistamento che dava sulla Via Mercatorum.
Le origini del Palazzo signorile invece risalgono al Quattrocento quando fu ristrutturato e ampliato per essere terminato nel Seicento con l’aggiunta delle cucina. I proprietari del palazzo erano i membri della nobile famiglia dei Grataroli: una potente famiglia locale i cui componenti vantavano ricchezze e fortune acquisite a Venezia. I Grataroli portarono il gusto architettonico veneziano nel loro palazzo attraverso la costruzione di portali a tutti sesto, di finestre archiacute in pietra lavorata e di un arco trilobato. Queste caratteristiche hanno fatto del Palazzo l’unico esempio di architettura veneta in Valle Brembana.
I Grataroli fecero decorare la casa con pregevoli affreschi, visibili ancora oggi entrando nel grande salone: la Camera Picta. Gli affreschi della Camera Picta, databili alla seconda metà del XV secolo, testimoniano l’ascesa della famiglia attraverso l’intercessione dei santi guaritori legati alla devozione popolare e con la rappresentazione di un torneo cavalleresco dove i Grataroli, identificabili per la presenza di una gratarola (una grattugia) disegnata sul loro scudo, sconfiggono i nemici dimostrando il loro potere alle altre famiglie nobiliari della Valle, raffigurate negli stemmi che contornano la scena.
All’ingresso del Palazzo, inoltre è visibile un affresco che rappresenta un uomo con un bastone in mano accompagnato dalla scritta: “Chi no è de chortesia, non intrighi in casa mia. Se ge venes un poltron, ghe darò del mio baston”. Questo dipinto è una rappresentazione dell’Homo Sevadego, figura popolare diffusa nelle comunità retico-alpine e metafora dell’attaccamento dell’uomo alla propria terra e del suo rapporto con i cicli della natura.